Lupi: Asfissiare di Rafael Spike

Lupi asfissiare Rafael Spike

Lupi: Asfissiare

Ta-dah! Sì! Le mie mani sono nere! Nerissime! Sono di pece! Come il manto di un corvo, dice una delle mie migliori amiche quando gliele mostro su Skype. Sono tutte nere: dalle unghie, fino a poco più su del polso. Il tatto come senso è rimasto integro e se chiudo gli occhi e me le appoggio sul viso, o su qualsiasi altro punto del corpo, le sento esattamente della stessa consistenza di prima. Sono le stesse mani che avevo, hanno solo cambiato colore.

Non sono abbronzate, arrostite e non ho una malattia come la vitiligine al contrario. Non si tratta di pelle scura come chi è di colore, tipo il mio amico Amed del Congo. La mia cute è nera come il ferro battuto, nera come la pittura, nera come la morte infernale, come un diablo. Le pellicine sono nere, le unghie, le nocche e i peli – e voi sapete che i miei sono biondi, sono quasi albino.

Provo dolore e sanguino sangue rosso, ma la carne se mi scortico o mi taglio è nera al di sotto della superficie. Non è cancrena, non è una patologia rara. Sono nere e basta.

Sono stato dal medico, all’ospedale e da uno specialista dermatologo, ma nessuno è riuscito a darmi alcuna spiegazione, nonostante mi abbiano fatto centinaia di test. Credetemi sulla parola: nessuno sa cosa sia! Ma il bello è che tutto questo me lo dicevano a priori, anche prima di testarmi. Non si aspettavano risposte concrete, cure o spiegazioni perché non ero il primo, in molti insieme a me avevano mostrato questo “innocuo sfogo della pelle”. Così lo hanno battezzato, uno “sfogo gentile”. Non è una malattia, non è una mutazione di quelle che aspettiamo per la seconda ondata. Non è letale in questa forma, è solo una colorazione cutanea.

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Incipit di Dark and Ness

Primo capitolo di Dark and Ness

Dark and ness Pasquale Scalpellino

Tre bambini fuoriuscirono correndo dal bosco in cui erano stati intrappolati per più di un’ora. Erano sudati, stanchi, impauriti e spaventosamente sporchi di sangue.

Il maschietto, Jeff, aveva le mani imbrattate di liquido rosso e non faceva altro che fissarsele mentre correva provando a non inciampare. La bambina dai capelli biondi, Sarah, aveva soltanto il proprio vestitino rosa sporco, ma se ne fregava dato che era più importante fuggire, piuttosto che pensare a ciò che avevano appena fatto o pulirsi per nascondere le relative prove del misfatto.

La seconda bambina, quella dai capelli rossi, il cui nome era Betty, rideva mentre la fuga era in atto. Era quella più sporca di sangue tra i tre. Ce l’aveva tra i capelli, sul viso, sulle mani, sulle scarpe. Era quella che aveva cominciato tutto e che si era fatta aiutare nel completamento. Era stata senziente e cosciente per tutto il tempo, motivo per cui la sua paura interiore era minore rispetto a quella degli altri. Nei suoi occhi c’era un piccolo barlume di sadismo, ma forse erano soltanto l’adrenalina e la voglia di vendetta che aveva consumato.

Corsero per centinaia di metri nella radura aperta, vedendo uccellini volare via ed evitando di voltarsi indietro. Il fatto che il cielo fosse azzurro e senza nuvole pareva essere una condizione di contrappasso, considerando ciò che avevano commesso, eppure non c’era neanche uno screzio lassù e la giornata prometteva di essere splendente per almeno tutta la mattinata.

Si fermarono quasi al centro della piana, in un piccolo cerchio di terra bruciata con un falò spento e dei grossi massi, messi lì come piccole panche di pietra naturale. Guardarono finalmente il bosco alle loro spalle e un grido gutturale e minaccioso risuonò nell’aria, facendo scuotere violentemente gli alberi e i cespugli. Due occhi giganteschi e gialli apparvero tra i tronchi a distanza di alcuni metri tra loro. Una zampa nerastra, larga più di un’auto e dagli artigli acuminati, sorse dal nulla, schiacciando come se niente fosse un arbusto ricco di spine. Lo sbuffo e il respiro di quell’essere immondo, dopo l’ululato, furono spettrali e raccapriccianti. I ragazzi non credevano ai propri occhi.

“Perché ci siamo fermati? E se continua ad inseguirci e ci raggiunge? Non dovremmo allontanarci di più?”, chiese senza sosta Sarah, perdendosi nello sguardo maligno della bestia che li osservava.

“Non può uscire dal bosco, stai tranquilla”, dichiarò Betty, mettendo una mano sporca di sangue sulla spalla della bambina spaventata.

“Lo credo anche io”, confermò Jeff, deglutendo e distogliendo la visuale da quelle sfere gialle bramanti. Avevano rischiato grosso. Se li avesse presi, a quest’ora sarebbero tutti stati solo carne da macello.

“Dobbiamo promettere”, esordì Betty.

“Promettere cosa?”.

“Dobbiamo promettere che non racconteremo a nessuno quello che abbiamo fatto nel bosco e che non diremo mai neanche come è fuoriuscito quel coso che ci ha inseguito”.

Jeff e Sarah si guardarono terrorizzati. Entrambi erano innamorati di Betty ed era per questo che l’avevano aiutata a fare ciò di cui lei aveva strettamente bisogno. Il sentimento forte che provavano li aveva fatti inoltrare nel bosco, nonostante le assurde storie riguardanti il mostro che lo popolava e che si erano rivelate essere veritiere.

Avevano soltanto sei anni ed era estate. Tra meno di un mese sarebbe iniziata la scuola e la ragazzina dai capelli rossi avrebbe cambiato città, lasciandoli da soli per sempre, con quell’emozione inespressa e quell’amore acerbo e fanciullesco.

Betty si passò sulle labbra il sangue di cui aveva le mani zuppe. Prese per mano i suoi due compagni e poi li baciò entrambi sulle labbra, sporcandoli di liquido rosso. Sarah e Jeff provarono un po’ di ribrezzo, ma il fatto che la stessero baciando cancellò dalla loro mente la presenza di quel sangue.

La promessa fu suggellata, non avrebbero più potuto raccontare a nessuno le vicende di quel giorno.

“Ci rivedremo”, annunciò Betty con risoluzione. Era l’unica che tra loro sembrava già essere adulta nonostante la sua giovinezza.

Fissarono tutti e tre il bosco, dove ormai non era più presente quell’essere gigantesco. Si tennero per mano e si avviarono verso casa.

Quella fu l’ultima volta che Sarah e Jeff videro Betty, anche perché quando tantissimi anni dopo la rincontrarono… beh, lei non era più la stessa.

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